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La comunicazione aumentativa e alternativa (CAA)

Cos’è la CAA?

Con l’espressione “comunicazione aumentativa e alternativa” (CAA) si fa riferimento a una modalità comunicativa che integra o sostituisce il linguaggio verbale (o la scrittura) con altre modalità comunicative, maggiormente flessibili e in grado di coinvolgere più attivamente la persona che, per vari motivi (disabilità complesse, traumi, patologie neuromuscolari, ritardi neurocognitivi), può presentare difficoltà o ritardi nell’interfacciarsi con il linguaggio verbale.

L’aggettivo “aumentativa” ci ricorda che la questione centrale non è sostituire o integrare il linguaggio verbale ma definire, a partire dalla persona che si ha davanti, la strategia comunicativa più efficace per favorire il potenziamento delle sue effettive competenze; l’aggettivo “alternativa”, invece, ci parla proprio di queste strategie che, per essere veramente efficaci, devono essere alternative, cioè diverse dal linguaggio parlato.

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La questione centrale della CAA resta, però, la persona cui si rivolge e l’opportunità di creare con lui una comunicazione effettiva e coinvolgente: ecco perché l’approccio comunicativo deve essere multimodale e flessibile, nel senso che deve sapersi adattare alla persona, funzionalmente al suo bisogno di esprimersi (bisogni, speranze, idee) e di nutrire le proprie relazioni sociali, sia per brevi periodi che per esigenze di più lungo termine.

I libri in simboli: un valido aiuto

In questo contesto, i libri in simboli possono essere senz’altro uno degli ausili più efficaci e flessibili: da sempre le immagini rappresentano uno stimolo molto accattivante per qualunque bambino e, soprattutto, si acquisiscono non per insegnamento ma per esposizione nel tempo, a tutto vantaggio della naturalità degli usi e delle esperienze, presenti e futuri. Anche in questo caso, dunque, l’albo illustrato finisce per rivelarsi uno straordinario ausilio per l’inclusione, in grado di far crescere la relazione a partire dall’autentico riconoscersi e stare insieme, fianco a fianco, contribuendo alla stessa esperienza e prendendosi cura l’uno dell’altro: pagina dopo pagina, l’esperienza della lettura condivisa e co-costruita può rappresentare un insperato ‘trampolino di lancio’ per cambiare, insieme, il mondo circostante.

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Per esempio, aiutando il bambino a diventare sempre più consapevole dello spazio esterno, fino a riuscire ad appropriarsene almeno un poco: usando gli stessi simboli che il bambino ha ormai imparato da sé a riconoscere nelle pagine del libro, si potrebbe cominciare a etichettare – genitori e figli insieme – le scatole dei giocattoli, i mobili, i cassetti, oppure indicare luoghi, funzioni, pericoli, aiutandolo così a orientarsi e sviluppare la propria autonomia, anche in chiave decisionale.

CAA alla Rassegna Delle Letterature Inclusive

Nella Rassegna delle letterature inclusive non poteva mancare un appuntamento sulla CAA e sarà un appuntamento veramente straordinario: venerdì 31 maggio alle 17.00 avremo l’onore di ospitare Sante Bandirali, direttore editoriale di Uovonero, una casa editrice che da diversi anni è impegnata in questo settore, con diversi titoli in catalogo e, addirittura, una collana realizzata in collaborazione con altri editori. Inoltre, ospiteremo un intervento della dott.ssa Cinzia Capogna dell’Anffas e la ricchissima testimonianza de Il CAAmaleonte, un’associazione che opera da molti anni sul nostro territorio, nata dalla volontà di due mamme davvero speciali.

 

Se volete saperne di più, andate sull’evento Facebook, appositamente creato per l’occasione.

Per approfondire:

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Da Leroi-Gourhan ai Prelibri di Munari

(May) You Live In Interesting Times

André Leroi-Gourhan rappresenta probabilmente uno dei più geniali innovatori delle tecniche di scavi nell’archeologia moderna: dal momento che l’archeologo scavando distrugge il suo stesso oggetto di studio, Leroi-Gourhan cercava sempre di ricavare quante più informazioni possibili sul luogo di scavo, concentrandosi non sul particolare, ma sulle relazioni spaziali e funzionali tra gli oggetti, osservandoli in maniera sistemica. Secondo quanto lui stesso affermava, qualsiasi ricerca deve concentrarsi sulla totalità delle manifestazioni umane, per tutta l’ampiezza del loro habitat (sincronia) e per tutta la loro profondità cronologica (diacronía). Sono queste le basi teoriche per lo “scavo orizzontale”, la tecnica di scavo da lui introdotta in sostituzione di quella prevalente in quegli anni, rivolta alla verticalità e alla profondità.

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In questo modo, Leroi-Gourhan potè formulare ipotesi del tutto nuove sull’uomo, mettendo in risalto l’importanza della manualità nell’evoluzione della nostra specie. La mano, in origine, era solo una pinza per tenere sassi: il trionfo dell’uomo è cominciato quando è stato in grado di trasformarla nell’esecutrice sempre più abile delle sue idee di fabbricatore.

Non saper fare nulla con le proprie mani forse non è una cosa preoccupante a livello della specie (dovranno passare molti millenni prima di regredire a una paralizzante incapacità), ma sul piano individuale è ben diverso: dal momento che la mano è così strettamente legata al nostro sviluppo neuronale, non riuscire a pensare con le proprie dita significa fare a meno di una parte del pensiero propriamente umano. È quello che Leroi-Gourhan chiama il “problema della regressione della mano”.

I Prelibri di Munari

Alle sue intuizioni si collegano, quasi naturalmente, quelle di Bruno Munari: convinto che la sorpresa fosse la strada maestra per stimolare i bambini e proiettarli verso il sapere, Munari si convinse che questa passasse prima per le dita e poi per gli occhi. Così, a partire dalla fine degli anni ’40, cominciò a sperimentare nuove tipologie di libro, principalmente per soddisfare la curiosità del figlio Alberto. Dove lo portò questo percorso è ben noto: nel 1980 Munari pubblicò con Danese i celebri Prelibri, una raccolta di 12 libricini di 10 x 10 cm, grandi in proporzione ai loro piccoli proprietari. Ognuno di questi piccoli libri (che vengono prima di ogni altro libro) era realizzato con materiali diversi per indurre nel bambino diverse sollecitazioni tattili e visive.

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Attraverso un approccio plurisensoriale, i Prelibri consentono ai bambini di acquisire familiarità con l’oggetto libro, sfogliandolo e associandolo a qualcosa di curioso, abituandosi a utilizzare la propria creatività e immaginazione per rispondere agli stimoli esterni e per sviluppare una certa attitudine all’elasticità mentale.

Il tutto, però, passando per le proprie mani e la piena rivelazione di sè.

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I Silent Book (2° parte)

Da dove viene il termine silent book?

Pochi sanno che il termine silent book è stato impiegato, per la prima volta, da una nota e pluripremiata autrice di albi illustrati, Giovanna Zoboli, che nel 2005, dovendo preparare un corso di formazione sul rapporto fra parola e immagine nei libri illustrati, andava alla ricerca di un termine che identificasse gli albi senza parole, avendo difficoltà a trovarlo. Lo ha raccontato in un articolo disponibile sulla rivista Doppiozero, che potete consultare a questo link.

“In quel periodo in Italia questo tipo di libri non era molto diffuso e anche la letteratura critica in merito latitava. Perciò per studiare l’argomento mi rivolsi in particolare alla produzione libraria francese e americana, dove questi libri erano più diffusi. Mi chiesi per cominciare come le letterature straniere denominassero questa tipologia di libro: i francesi, album sans texte; gli anglosassoni, wordless book. Però poi rovistando in rete trovai il sito di un artista americano (del quale poi purtroppo smarrii il riferimento) che per la sua produzione di libri di sole immagini usava il termine silent book. Quel nome mi piacque subito molto”.

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I silent sono libri silenziosi?

In verità, leggere questo tipo di albi illustrati è tutto fuorché un’esperienza silenziosa: i bambini – per niente intimoriti dall’assenza di parole – si stringono intorno al libro, cominciano ad additare le singole figure, cominciano subito a commentare, fanno battute, si contraddicono, si parlano addosso, formulano, modificano, scompongono e ricompongono le proprie ipotesi, tutto come se ci si trovasse nel bel mezzo di un chiassoso mercato della fantasia e dell’immaginazione. Come afferma Shaun Tan, autore de L’Approdo, “I bambini si distinguono per l’onestà e la libertà delle loro interpretazioni, e per la loro naturale vocazione all’osservazione minuta dei dettagli delle figure, mentre gli adulti sono invece tutti presi dal carpire i significati, rintracciare i grandi concetti, ideologie, dottrine e -ismi vari”.

silent book l'approdo

Com’è stato fatto osservare, nei silent book abbiamo, forse più che in altri albi illustrati, un autore a nostra completa disposizione: è come se davanti ai nostri occhi scorressero non già fotogrammi di una
storia già data e confezionata, ma frammenti scombinati di un pensiero ancora in formazione, che ci chiama a fornire il nostro contributo per fare un po’ di luce nel complesso intrico del suo divenire. Per questo si dice che il silent book rende possibile la co-costruzione della trama, a partire proprio dalla collaborazione del lettore – meglio se ‘tanti’ lettori – con l’autore.

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Questi albi illustrati, insomma, rappresentano un prodigioso rovesciamento dei più frequenti luoghi comuni relativi alla letteratura per l’infanzia, in primis quello per cui gli albi con poche parole sono fatti per i bimbi piccoli, non potendosi far carico di alcuna missione pedagogica (a differenza dei libri con tanto (tanto) testo: come se bastasse la quantità tipografica per assicurare la qualità letteraria di un libro!)

Come se fosse legittimo tracciare a cuor leggero una linea di demarcazione tra linguaggi facili e difficili, efficaci e inefficaci, d’oro e d’argento. Al contrario – e la nostra Rassegna sembra confermarcelo appuntamento dopo appuntamento – ogni questione comunicativa è legata non tanto al registro impiegato ma alla dimensione relazionale nell’ambito della quale il registro scelto ha
pienamente – e finalmente – senso.

Come si scrive il silent?

Ma cosa cambia per un autore scrivere un silent book? come viene a definirsi la sinergia con l’illustratore? come viene scelto il soggetto? e la sequenza per raccontarlo?

A queste e ad altre domande ha risposto un autore d’eccezione: Davide Calì, ospite della Rassegna delle letterature inclusive con un approfondimento sui silent book.
Subito dopo la giovane illustratrice romana Shu Garbuglia ha tenuto un laboratorio per bambini dal titolo “Prima e dopo”.

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I Silent Book (1° parte)

Libri senza parole: dal mondo a Lampedusa e ritorno

La nostra Rassegna è al giro di boa!

In questa terza settimana ci soffermeremo su un particolare tipo di albo illustrato, il silent book, adattissimo a diverse modalità di lettura inclusiva; in primis, verso le persone di altra lingua e nazionalità.

A questo proposito, il nostro Paese è al centro di una esperienza veramente inclusiva che coinvolge editori provenienti da oltre 20 paesi di 4 continenti, i cui silent convergono nell’isola di Lampedusa, in una biblioteca molto speciale, rappresentata prevalentemente da silent book.

Libri senza parole: dal mondo a Lampedusa e ritorno” è il nome di questo poderoso progetto di cooperazione internazionale, promosso da IBBY Italia, grazie alla collaborazione di un comitato promotore con base a Roma.
La selezione bibliografica include ormai 120 titoli, catalogati a titolo gratuito dalla cooperativa Biblionova e realizzata con il contributo delle diverse sezioni nazionali di IBBY nel mondo: la collezione è ospitata presso Lo scaffale d’arte del Palazzo delle Esposizioni a Roma, a disposizione di ricercatori, docenti e appassionati e ha dato vita anche a una mostra documentaria itinerante, che può circolare a richiesta in Italia e all’estero.

progetto silent book lampedusa locandina

La creazione di una biblioteca comunale nell’isola ha una valenza altamente simbolica: come noto, Lampedusa è il simbolo nel mondo di tutti i luoghi reietti e dimenticati, dove si raccoglie la disperazione di bambini senza più lacrime e genitori senza più futuro; un non-luogo rispetto al quale è sufficiente voltare la testa altrove per fingere che non esista davvero, per negarne la consistenza geografica e la tragicità di quel che si condensa in questo lembo di terra, periferia d’Italia e d’Europa, margine del futuro dell’uomo.
Ripartire dal libro, a Lampedusa, e da un libro senza parole, vuol dire ripartire – in silenzio, ma con concretezza – dai bisogni di chi cresce lontano dalla lettura e dai principi di tolleranza e di comprensione che solo la lettura è in grado di stimolare.

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Illustrazione di Tommaso Carozzi tratta dal nuovo silent book di Davide Calì

La scelta del nucleo di libri per ragazzi che IBBY Italia raccoglie e dona all’isola di Lampedusa non è, dunque, casuale: i silent book, ovvero i libri senza parole, dal momento che affidano il racconto alle sole immagini, riescono ad annullare ogni barriera linguistica e culturale e si rivelano particolarmente adatti a stimolare e facilitare l’incontro tra bambini di origini diverse e, al tempo stesso, utili per gettare solide basi per l’apprendimento di un vocabolario di immagini, a partire dal quale costruire un vocabolario di comprensione sociale e di solidarietà umana.
Perché nessuno dovrebbe essere  straniero su questa Terra che chiamiamo casa.

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Libri e senso del tatto

Ci avete mai pensato? La parola “immaginazione” – ovvero, la facoltà attraverso la quale noi esseri umani (e, a quanto pare, soltanto noi!) riusciamo a elaborare pensieri in maniera libera, incondizionata e astratta – deriva da “immagine”, dal momento che – come ha osservato una volta Bruno Tognolini, «per immaginare, la mente ha bisogno di immagini» (in R. Valentino Merletti, B. Tognolini, Leggimi forte, 2006, p. 38).

L’immaginazione è, infatti, tanto più fervida e sfrenata, quanto più il bambino è stato esposto a immagini e a esperienze visive, potendo rielaborarle liberamente, arricchendole e stabilendo connessioni magari inedite e sempre più ardite. E a mano a mano che il bambino affina la capacità di relazionare le immagini, aumentano anche le parole attraverso le quali è in grado di esprimersi.

laura anfuso e giancarlo chirico spiegano i libri tattili alla rassegna delle letterature inclusive
Foto di Aldo Marinelli

Da quanto detto sembrerebbe che il bambino con deficit visivo – non potendo accedere a immagini – ha minori possibilità di sviluppare e rafforzare la propria “immaginazione”.
Nulla di più falso.
L’esperienza dei libri tattili ha ormai dimostrato che gli occhi non sono il nostro unico organo visivo e che è possibile “vedere” anche a partire dalle mani. Certo si tratterà di una vista completamente diversa.

libro tattile foto

 

La funzione visiva degli occhi è istantanea, profonda, ampia e, soprattutto, sintetica, nel senso che a partire dall’immagine la mente risale immediatamente al significato dell’oggetto rappresentato. La vista a partire dal tatto, invece, necessita di un campo esplorativo limitato, accessibile per contatto diretto, ed è di tipo analitico, nel senso che, a partire dagli stimoli tattili la mente è impegnata in una vera e propria indagine per risalire alla effettiva natura dell’oggetto toccato.

libro tattile bruchino

Ovviamente, non tutte le immagini sono buone immagini tattili (anche quando sono in rilievo): per permettere alla persona con deficit visivo di dare un senso agli stimoli che passano dai polpastrelli, è necessario che l’immagine abbia determinate caratteristiche (di texture, di forma, di dimensione, di posizione, di direzione, di rapporto spaziale con gli altri elementi). Avere la possibilità di fruire del più alto numero possibile (e della più ampia varietà) di immagini e di esperienze tattili è un’occasione di grande arricchimento per l’intelligenza rappresentativa, immaginativa e concettuale di tutti, non solo delle persone con deficit visivo, e finisce per rappresentare un rafforzamento degli scambi relazionali e creativi tra persone che fruiscono di esperienze visive differenti.

Per approfondire l’argomento, vi lasciamo due preziosi documenti: