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L’inclusione a partire dallo spazio che abitiamo

Ragionare sui luoghi in chiave inclusiva può fornirci davvero tantissimi spunti interessanti: ci sono degli aspetti dello spazio che consideriamo scontati, ma non lo sono affatto! Le traiettorie, le strategie di movimento o di stasi, le esplorazioni possibili sono tante quante sono le persone che abitano uno spazio e non è di certo possibile fare una selezione per meriti.

Lo spazio, però, è soprattutto il luogo dell’incontro, del sentiero, del cammino che si fa percorso nell’atto stesso in cui si compie l’azione. In montagna, quando ci si incontra durante un’escursione o una semplice passeggiata, istintivamente ci si saluta: nessuno ne conosce la ragione precisa, forse è soltanto un’abitudine cui, però, nessuno si sottrae…

Mi piace pensare che sia un gesto di riconoscimento dell’altro che cammina sulla nostra stessa strada, che fa la nostra stessa fatica e contribuisce con noi al farsi del sentiero (senza di lui, quello stesso sentiero sarebbe meno battuto). Un riconoscimento del nostro “essere insieme su quello stesso sentiero”: io non so chi tu sia, da dove provenga e dove tu stia andando, non so quanta fatica tu abbia già fatto e quanta ancora ti resti da fare, ma posso immaginarla, a partire dalla mia fatica, dal mio cammino, dal mio passare per di qua… e allora ti riconosco compagno.  

Dobbiamo riconoscere che il modo in cui ci muoviamo quotidianamente nello spazio assomiglia molto poco al camminare sul sentiero di montagna. Nei musei credo avvenga qualcosa di simile: anche lì centra molto l’esplorazione, l’identità dell’esperienza, la fatica (anche se di genere completamente diverso); e, infatti, anche lì scatta il riconoscimento, l’incrocio di sguardi, il segno di scusa quando intralciamo la visuale a qualcuno.

Non a caso questa terza edizione della Rassegna delle letterature inclusive è stata inaugurata dall’architetto Fabio Fornasari, artista, ricercatore e fondatore del Museo Tolomeo di Bologna, che ci ha offerto tantissimi spunti e chiavi di lettura interessanti, illustrandoci le scelte strategiche dei lavori museali che ha curato, proprio al fine di favorire l’esperienza di tutti. E non è un caso che per il suo intervento Fabio abbia scelto un titolo assai curioso e polisemico: leggere relazioni.

Per prima cosa, il riferimento all’aspetto relazionale, inscindibile da ogni considerazione sullo spazio, il luogo fisico dell’esperienza. Poi, la possibilità di cambiare titolo a seconda di come decidiamo di accentare la prima parola: può rappresentare la nostra azione di leggere le relazioni che viviamo e che osserviamo vivere; ma può anche essere un aggettivo, l’introduzione di un elemento di leggerezza, forse non abituale ma di certo fondamentale, quando parliamo di relazioni, anche in chiave inclusiva.

Se vi siete persi l’incontro con Fabio, lo troverete nella sezione video, sulla pagina fbk della libreria Sognalibri. E per chi volesse approfondire questi temi, vi invitiamo a curiosare tra queste pagine:

Su Frizzi Frizzi c’è una splendida intervista in occasione della mostra “Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari” che è stata anche a Roma, al Palazzo delle Esposizioni: https://www.frizzifrizzi.it/2020/01/22/toccare-la-bellezza-intervista-a-fabio-fornasari-curatore-della-mostra-tattile-su-montessori-e-munari/

Sul concetto di museo, c’ questo bel contributo sul sito del Museo Tattile Omero di Ancona: https://www.museoomero.it/servizi/pubblicazioni/rivista-aisthesis-scoprire-larte-con-tutti-i-sensi/aisthesis-numero-5-anno-4-maggio-2018/ii-museo-dove-lopera-ha-luogo/

Infine, sulla rivista Roots & Routes c’è un articolo denso e ricco, con un altro titolo assai suggestivo, “Toccata, appunti sul mantenersi in contatto”: https://www.roots-routes.org/toccata-appunti-sul-mantenersi-in-contatto-di-fabio-fornasari/

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Inclusione e letteratura per l’infanzia

Quando si parla di letteratura per l’infanzia si dovrebbe imparare a resistere a due tendenze, spesso concomitanti, ma comunque pericolose.

La prima, antichissima e autorevole, riguarda l’utilizzo dei libri e degli albi illustrati per scopi didattici o per insegnare qualcosa di specifico: al contrario, utilizzando le parole di Blezza Picherle, l’unica finalità della letteratura per l’infanzia è “il dialogo culturale libero e creativo, senza prefiggersi di insegnare qualcosa di utile”. L’esempio del sasso rodariano lanciato nello stagno racconta meglio di centinaia di libri di pedagogia quanto sa essere prodigiosa la buona letteratura, capace di suscitare meraviglie e provocare scombussolamenti ma, soprattutto, allenare lo sguardo del bambino e il suo pensiero critico, ovvero la capacità di leggere i fatti del mondo. Senza bisogno di ammaestramenti!

L’altra tendenza, forse più recente, ma sempre più forte e pressante, riguarda la censura, ovvero – ancora con le parole di Blezza Picherle – la preoccupazione di “proteggere l’ingenuità e la purezza dei bambini e dei ragazzi, evitando di proporre loro tematiche scottanti o racconti troppo crudi, brutali e violenti”, arrivando a incidere non solo sulla struttura narrativa e lo stile, ma proprio sui contenuti. Tra i temi tabu rientrano sicuramente la malattia, il disagio sociale, la disabilità.

Qualche anno fa sulle pagine di Liber (n. 122, 2019, pp. 62-64), l’autore Luigi Dal Cin rifletteva proprio su questa tendenza, chiedendosi se la disabilità andasse raccontata in classe e con quali parole: “Di fronte alle domande difficili dei più piccoli, alcuni adulti non usano più le parole, cambiano discorso. Ma i bambini hanno bisogno di parole, sempre. Ci sono poi parole che arrivano solo alla mente suscitando semplice nuova informazione, e altre che invece arrivano anche al cuore suscitando emozioni, commozione, affetto per il prossimo, cambiamento, inclusione. Questo fa la narrazione”.

Da qualche anno si assiste, ormai, a una decisa inversione di tendenza e la letteratura è ritornata a essere uno spazio per sperimentare cambiamenti e praticare nuove possibilità: e dal momento che l’inclusione è, soprattutto, un insieme di pratiche concrete, attuate nella quotidianità, si può correttamente parlare di letterature per fare inclusione, ovvero pratiche narrative, editoriali e letterarie che, attraverso accomodamenti, esperienze e tematizzazioni permettono a tutti di ritrovarsi intorno allo stesso libro, pur nella ricca diversità di ciascuno.

È a queste pratiche e a queste esperienze che la Rassegna delle letterature inclusive da tre anni volge la sua attenzione, provando a raccontarle e a farle conoscere, perché dalla condivisione tutti possiamo uscirne più ricchi e consapevoli.

Per una rassegna dei titoli più recenti riguardo ai temi della disabilità, si rimanda a questa fantastica bibliografia di Maria Polita su Scaffale Basso: https://www.scaffalebasso.it/libri-inclusivi-sulla-disabilita/

Per un approfondimento più tecnico sugli accomodamenti necessari per rendere inclusivo un testo narrativo, consigliamo la lettura di questo articolo di Emanuela Annaloro, sulla rivista Insegnare: http://www.insegnareonline.com/rivista/cultura-ricerca-didattica/rendere-inclusivo-testo-letterario

E per chi volesse ancora approfondire, ecco alcuni titoli da cui cominciare la propria ricerca:

Blezza Picherle S., Letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. Una narrativa per crescere e formarsi, Edizioni QuiEdit, Verona, 2020;

Terrusi M., Albi illustrati. Leggere, guardare, nominare il mondo nei libri per l’infanzia, Roma, Carrocci Editori, 2020;

Bacchetti F., Cambi F., Nobile A., Trequadrini F., La letteratura per l’infanzia oggi, Bologna, Clueb, 2009;

Emili A. E., Macchia V. (a cura di), Leggere l’inclusione. Albi illustrati e libri per tutti e per ciascuno, Edizioni ETU, Pisa, 2020

Medeghini R., Valtellina E., Quale disabilità? Culture, modelli e processi di inclusione, FrancoAngeli, Milano, 2006

Programma Rassegna Maggio

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… e dall’uguaglianza all’equità

Negli ultimi anni, anche il concetto di disabilità è stato protagonista di una radicale evoluzione, terminologica e concettuale, passando da un modello medico (la disabilità vista come condizione della persona, rispetto alla quale occorre intervenire con una logica di tipo rimediale) a un modello sociale (rispetto al quale si è preso in considerazione anche la vita relazionale della persona, in un’ottica però ancora legata al singolo intervento).

Nel 2001 l’International Classification of Functioning, Disability and Health ha proposto il superamento di questi due modelli, di fatto integrandoli in una prospettiva più ampia e comprensiva: la disabilità viene definita come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute della persona e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo.

La disabilità, dunque, non definisce la persona e non la riguarda mai del tutto, dal momento che, agendo sull’ambiente esterno, sulle condizioni sociali e relazionali in cui la persona vive, di fatto la condizione individuale diventa irrilevante. Le nostre linee di azione e di intervento riguardano non solo le barriere all’accesso (di ogni tipo, non solo fisiche) ma ogni altro impedimento, anche sociale, culturale e relazionale! Insomma, la strada per l’inclusione e l’uguaglianza passa necessariamente da ciascuno di noi ed è un fattore di crescita sociale e di cultura comunitaria.

Sul web circola una bella immagine che sintetizza molto bene questa evoluzione – che è già tutta nell’art. 3 della nostra Costituzione! – che sottolinea, a mio avviso, l’importanza delle letterature: perché le parole esprimono la cultura di una società e, se è vero che nella nostra legislazione esistono ancora tracce lessicali del vecchio sistema, noi possiamo scegliere già da oggi di pensare, parlare, agire diversamente, realizzando un cambiamento di giustizia!

Per chi volesse approfondire, invitiamo a leggere la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, del 13 dicembre 2007, ratificata anche dall’Italia: https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/disabilita-e-non-autosufficienza/focus-on/Convenzione-ONU/Documents/Convenzione%20ONU.pdf    

C’è inoltre questo bellissimo video dell’intervento tenuto qualche anno fa dal prof. Andrea Canevaro in occasione del simposio interdisciplinare “L’illusione della normalità”: https://www.youtube.com/watch?v=2nopludGMBE 

Programma Rassegna di Maggio

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Dall’integrazione all’inclusione…


Erano gli anni ’70 quando in Italia sono state chiuse definitivamente le scuole speciali o classi differenziali, e gli alunni con disabilità sono stati integrati nelle scuole cd. “normali”.
Da allora, è stata avviata una riflessione profonda e ancora aperta sui cambiamenti – culturali, organizzativi, mentali e relazionali – necessari per poter realizzare un ambiente inclusivo: dall’odioso modello della segregazione era necessario evolvere verso forme più eque.
Oggi si tende a confondere l’integrazione con l’inclusione o a considerarle sinonimi, ma non è così. L’integrazione guarda al singolo soggetto all’interno di un gruppo e interviene prima su di lui e poi sul contesto: dal momento che la disabilità è vista come una condizione invalidante, per fare integrazione si assiste la persona con una serie di rimedi che provano ad alleviarne il disagio, fisico e sociale, in una prospettiva medicalizzante, senza riguardo ai profili sociali e relazionali, cioè senza coinvolgere nessun altro. In questo modo, le persone con disabilità entrano sì a far parte della comunità, ma ne restano di fatto separati.
Al contrario, l’inclusione ha come obiettivo il contesto sociale, per promuovere quei cambiamenti di cui tutti, indistintamente dalla condizione di partenza, possano beneficiare: la domanda è “come posso rendere il contesto esterno più facile per tutti?”.
Nel 1994 la Conferenza Mondiale sull’educazione inclusiva di Salamanca ha raccontato per la prima volta questo grande cambiamento culturale: “dall’idea di un’educazione speciale rivolta strettamente agli studenti con disabilità (integrazione) ci si sposta all’idea di un’educazione per tutti (inclusione) […] L’inclusione rappresenta quindi l’evoluzione del concetto di integrazione, con il fine di aprirsi oltre al mondo della disabilità per poter rispondere ai bisogni di ciascuna persona”. Non ha più senso parlare di persone speciali accanto a persone normali, dal momento che, rispetto al proprio bisogno, ciascuno di noi è speciale!
Per dirla con le parole di Vern Myers, esperta di pratiche inclusive nelle aziende, “l’integrazione vuol dire essere invitati alla festa; inclusione significa essere invitati a ballare”.

Per chi volesse approfondire, invitiamo a leggere questo ricco articolo di Loredana Dell’Isola che offre davvero tante suggestioni: https://oppi.it/wp-content/uploads/2017/05/oppinfo121_042-050_Dellisola.pdf Ma soprattutto ci piace citare questi due articoli del prof. Andrea Canevaro che è stato nostro ospite nella precedente edizione, assoluto protagonista di una bellissima chiacchierata con il prof. Franco Lorenzoni, “Le parole per indicare qualcuno”: https://oppi.it/wp-content/uploads/2017/05/oppinfo121_042-050_Dellisola.pdf http://forum.indire.it/repository_cms/working/export/4936/approfondimenti/lunga_strada_canevaro.pdf Per chi volesse rivedere il video di Canevaro e Lorenzoni: https://www.facebook.com/sognalibri.it/videos/466236591320700

Programma Rassegna di Maggio

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Armin Greder e le storie necessarie

Non è facile trovare le parole giuste per parlare di Armin Greder, un artista davvero unico nel suo genere, coraggioso come il suo tratto, forte come il suo carboncino, capace di guardare alle cose senza mai fare sconti.

Le storie che Armin sceglie di raccontare sono necessarie: chi le incontra impara a vedere il mondo con occhi nuovi e a dare il giusto nome alle cose, fuor di retorica, oltre le apparenze, fino alla radice profonda di quel che è autentico.

Armin è un artista che potremmo definire “scomodo”: le sue fiabe – come direbbe Deballieul – non sono fatte per far addormentare i bambini la notte, ma per tenere desti noi adulti, per farci aprire gli occhi e mettere in discussione l’abitudine e la sciatteria. Le sue illustrazioni sono tenaci, aderiscono in maniera autentica alla realtà, rivelandocene aspetti scomodi, che troppo spesso preferiamo trascurare, non guardare, minimizzare. E, invece, lui le mette proprio al centro del racconto, in modo che possiamo osservarle per quel che sono davvero, nella consapevolezza che quel che diventeranno dipende dalle nostre scelte. Armin ci chiama all’impegno e alla partigianeria, invitandoci a prendere posizione, rinunciare ai compromessi, rivendicare la possibilità dell’utopia e l’intollerrabilità di prezzare ogni cosa.

Se volete avere un saggio della sua ricerca estetica, che diventa necessariamente azione politica, andate a vedere il lavoro che ha fatto sulle tombe delle vittime del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, la più grave tragedia nel Mediterraneo dai tempi della seconda guerra mondiale. Dinanzi a quelle tombe senza nome, Armin ha dato dignità a ciascuna sepoltura, lasciando un segno come gesto di riconoscimento e dignità, che a quelle stesse persone è stato tragicamente negato. La sua ricerca ci dice che il voltarsi dall’altra parte, il far finta di niente non è mai senza conseguenze, anzi è parte del problema, a partire da come ci vedono i nostri figli.

Nelle sue storie, infatti, i bambini ci osservano e ci imitano con una convinzione impressionante: ecco perché diventa fondamentale prendere la parte giusta e realizzare da oggi il cambiamento possibile!

Da questo punto di vista, i suoi libri sono estremamente relazionali e comunitari: non vanno letti a bassa voce, nella solitudine della propria stanza, per recuperare un momento di spensierato isolamento, ma vanno messi al centro di un dialogo continuo e sempre attivo, dov’è possibile ascoltare la voce di ciascuno e crescere tutti insieme. Una volta chiuso il libro, è proprio lì che comincia l’avventura, la riflessione condivisa e congiunta, noi e loro, loro e noi, per immaginare, progettare, realizzare il futuro.

Siamo convinti che i suoi libri rappresentano un ausilio importantissimo per quei genitori e quegli insegnanti che vogliano affrontare in maniera non convenzionale temi scomodi e radicali, come l’immigrazione, l’incontro con il diverso, l’accoglienza, la solidarietà, l’inquinamento, lo sfruttamento, la distribuzione delle risorse, l’appartenenza comunitaria, il dialogo intergenerazionale.

L’invito, dunque, è quello di non lasciarsi sfuggire questa bellissima opportunità e venire in libreria per conoscerlo di persona, fermandosi anche ad ammirare alcune delle tavole originali del suo ultimo lavoro, “Eredità”.

In Italia, i libri di Armin sono tutti editi da Orecchio acerbo, che da sempre ha fatto delle grandi storie e dei temi scomodi una nota caratteristica della propria linea editoriale. La cura con cui è confezionata ciascuna storia rende ogni titolo un gioiello prezioso che non può mancare nelle librerie non solo dell’appassionato ma di chiunque ritenga indispensabile affrontare certi temi e raccontare un certo tipo di storie.

Vi lasciamo con le parole che lo stesso Armin ha scelto per presentare se stesso, sul sito dell’editore Orecchio acerbo.

“Sono nato nel 1942 in Svizzera, in una piccola città in cui i nomi delle strade sono scritti in tedesco e in francese, e dove non sai quale delle due lingue usare per rivolgerti a chi sta dietro al bancone del negozio. A scuola la mia materia preferita era educazione artistica, fino a quando non hanno cominciato a dirmi come dovevo disegnare. Al secondo posto c’era ginnastica, perché eri autorizzato a gridare giocando a pallone. A scuola nessuno mi ha insegnato a scrivere, ma solo come detestare la grammatica. E la poesia era qualcosa quasi senza senso, di solito era lunga e da imparare a memoria. Solo più tardi, quando ho disimparato abbastanza, ho capito che la lingua non è il suono che fai quando parli, ma qualcosa che rende tangibili i tuoi pensieri. Qualcuno scrive pensando ai lettori che immagina leggeranno il suo libro. Io preferisco scrivere pensando alla storia che deve essere raccontata. A chi si rivolga il libro e a quale fascia d’età è destinato, lascio che lo decida l’editore, e, soprattutto, i lettori. Forse questo è il motivo per cui mi ritrovo a illustrare più libri scritti da altri che non da me. Preferisco lavorare di giorno. La luce è migliore. Se ci fossero eroi fra gli artisti, per me sarebbero Goya, Käthe Kollwitz e Honoré Daumier. Ci sono forse una dozzina di autori da cui continuo a tornare. Fra loro ci sono Johann Wolfgang Goethe per il modo in cui gioca con la lingua, Eduardo Galeano per il modo in cui riesce a correggere la storia, e Nicolas Bouvier per i suoi viaggi e per il modo in cui riesce a scriverne. Sono contro la monocultura. Nelle piante genera infestazioni di insetti, nelle persone genera ignoranza. Quanto più sventolano le bandiere, tanto più temo il patriottismo, perché non è troppo lontano dal nazionalismo. Non ho né un cane, né un gatto. Non ci sono topolini nella mia casa e sono convinto che il miglior amico dell’uomo non sia un cane ma un altro essere umano. Non fumo e preferisco le verdure alla carne, e il vino bianco al rosso.”

Armin Greder è fumettista, graphic designer e illustratore. È emigrato in Australia nel 1971, dove ha insegnato design e illustrazione al Queensland College of Art. Al suo lavoro sono state dedicate numerose mostre personali e collettive dalla Germania fino al Giappone. Nel 1996, ha ricevuto il Bologna Ragazzi Award e l’ IBBY Honour List con “The Great Bear” di Libby Gleeson (Scholastic Press). Con Libby Gleeson ha pubblicato anche: “Big dog” (1991), “Sleep time” (1993), “The princess and the perfect dish” (1995) e “An ordinary day” (2001). “Thie Insel” (“L’isola” orecchio acerbo, 2008) pubblicato da Sauerlander nel 2002, è il libro di cui per la prima volta è anche autore dei testi. È tradotto in moltissime lingue e ha ricevuto premi in tutto il mondo, fra cui il Goldener Apfel/Golden alla Biennale di Illustrazione di Bratislava del 2003. Nel catalogo di Orecchio acerbo anche “La città” (2009), “Gli stranieri” (2012), “Italia A/Z” con Goffredo Fofi (2015), “Il serpente tanto solo” (2016) “Mediterraneo” (2017), “C’erano tutti nella grande aia” su testo di Nino De Vita (2018) e “Diamanti” (2020). 

Articolo di Giancarlo Chirico.