Armin Greder e le storie necessarie
Non è facile trovare le parole giuste per parlare di Armin Greder, un artista davvero unico nel suo genere, coraggioso come il suo tratto, forte come il suo carboncino, capace di guardare alle cose senza mai fare sconti.
Le storie che Armin sceglie di raccontare sono necessarie: chi le incontra impara a vedere il mondo con occhi nuovi e a dare il giusto nome alle cose, fuor di retorica, oltre le apparenze, fino alla radice profonda di quel che è autentico.
Armin è un artista che potremmo definire “scomodo”: le sue fiabe – come direbbe Deballieul – non sono fatte per far addormentare i bambini la notte, ma per tenere desti noi adulti, per farci aprire gli occhi e mettere in discussione l’abitudine e la sciatteria. Le sue illustrazioni sono tenaci, aderiscono in maniera autentica alla realtà, rivelandocene aspetti scomodi, che troppo spesso preferiamo trascurare, non guardare, minimizzare. E, invece, lui le mette proprio al centro del racconto, in modo che possiamo osservarle per quel che sono davvero, nella consapevolezza che quel che diventeranno dipende dalle nostre scelte. Armin ci chiama all’impegno e alla partigianeria, invitandoci a prendere posizione, rinunciare ai compromessi, rivendicare la possibilità dell’utopia e l’intollerrabilità di prezzare ogni cosa.
Se volete avere un saggio della sua ricerca estetica, che diventa necessariamente azione politica, andate a vedere il lavoro che ha fatto sulle tombe delle vittime del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, la più grave tragedia nel Mediterraneo dai tempi della seconda guerra mondiale. Dinanzi a quelle tombe senza nome, Armin ha dato dignità a ciascuna sepoltura, lasciando un segno come gesto di riconoscimento e dignità, che a quelle stesse persone è stato tragicamente negato. La sua ricerca ci dice che il voltarsi dall’altra parte, il far finta di niente non è mai senza conseguenze, anzi è parte del problema, a partire da come ci vedono i nostri figli.
Nelle sue storie, infatti, i bambini ci osservano e ci imitano con una convinzione impressionante: ecco perché diventa fondamentale prendere la parte giusta e realizzare da oggi il cambiamento possibile!
Da questo punto di vista, i suoi libri sono estremamente relazionali e comunitari: non vanno letti a bassa voce, nella solitudine della propria stanza, per recuperare un momento di spensierato isolamento, ma vanno messi al centro di un dialogo continuo e sempre attivo, dov’è possibile ascoltare la voce di ciascuno e crescere tutti insieme. Una volta chiuso il libro, è proprio lì che comincia l’avventura, la riflessione condivisa e congiunta, noi e loro, loro e noi, per immaginare, progettare, realizzare il futuro.
Siamo convinti che i suoi libri rappresentano un ausilio importantissimo per quei genitori e quegli insegnanti che vogliano affrontare in maniera non convenzionale temi scomodi e radicali, come l’immigrazione, l’incontro con il diverso, l’accoglienza, la solidarietà, l’inquinamento, lo sfruttamento, la distribuzione delle risorse, l’appartenenza comunitaria, il dialogo intergenerazionale.
L’invito, dunque, è quello di non lasciarsi sfuggire questa bellissima opportunità e venire in libreria per conoscerlo di persona, fermandosi anche ad ammirare alcune delle tavole originali del suo ultimo lavoro, “Eredità”.
In Italia, i libri di Armin sono tutti editi da Orecchio acerbo, che da sempre ha fatto delle grandi storie e dei temi scomodi una nota caratteristica della propria linea editoriale. La cura con cui è confezionata ciascuna storia rende ogni titolo un gioiello prezioso che non può mancare nelle librerie non solo dell’appassionato ma di chiunque ritenga indispensabile affrontare certi temi e raccontare un certo tipo di storie.
Vi lasciamo con le parole che lo stesso Armin ha scelto per presentare se stesso, sul sito dell’editore Orecchio acerbo.
“Sono nato nel 1942 in Svizzera, in una piccola città in cui i nomi delle strade sono scritti in tedesco e in francese, e dove non sai quale delle due lingue usare per rivolgerti a chi sta dietro al bancone del negozio. A scuola la mia materia preferita era educazione artistica, fino a quando non hanno cominciato a dirmi come dovevo disegnare. Al secondo posto c’era ginnastica, perché eri autorizzato a gridare giocando a pallone. A scuola nessuno mi ha insegnato a scrivere, ma solo come detestare la grammatica. E la poesia era qualcosa quasi senza senso, di solito era lunga e da imparare a memoria. Solo più tardi, quando ho disimparato abbastanza, ho capito che la lingua non è il suono che fai quando parli, ma qualcosa che rende tangibili i tuoi pensieri. Qualcuno scrive pensando ai lettori che immagina leggeranno il suo libro. Io preferisco scrivere pensando alla storia che deve essere raccontata. A chi si rivolga il libro e a quale fascia d’età è destinato, lascio che lo decida l’editore, e, soprattutto, i lettori. Forse questo è il motivo per cui mi ritrovo a illustrare più libri scritti da altri che non da me. Preferisco lavorare di giorno. La luce è migliore. Se ci fossero eroi fra gli artisti, per me sarebbero Goya, Käthe Kollwitz e Honoré Daumier. Ci sono forse una dozzina di autori da cui continuo a tornare. Fra loro ci sono Johann Wolfgang Goethe per il modo in cui gioca con la lingua, Eduardo Galeano per il modo in cui riesce a correggere la storia, e Nicolas Bouvier per i suoi viaggi e per il modo in cui riesce a scriverne. Sono contro la monocultura. Nelle piante genera infestazioni di insetti, nelle persone genera ignoranza. Quanto più sventolano le bandiere, tanto più temo il patriottismo, perché non è troppo lontano dal nazionalismo. Non ho né un cane, né un gatto. Non ci sono topolini nella mia casa e sono convinto che il miglior amico dell’uomo non sia un cane ma un altro essere umano. Non fumo e preferisco le verdure alla carne, e il vino bianco al rosso.”
Armin Greder è fumettista, graphic designer e illustratore. È emigrato in Australia nel 1971, dove ha insegnato design e illustrazione al Queensland College of Art. Al suo lavoro sono state dedicate numerose mostre personali e collettive dalla Germania fino al Giappone. Nel 1996, ha ricevuto il Bologna Ragazzi Award e l’ IBBY Honour List con “The Great Bear” di Libby Gleeson (Scholastic Press). Con Libby Gleeson ha pubblicato anche: “Big dog” (1991), “Sleep time” (1993), “The princess and the perfect dish” (1995) e “An ordinary day” (2001). “Thie Insel” (“L’isola” orecchio acerbo, 2008) pubblicato da Sauerlander nel 2002, è il libro di cui per la prima volta è anche autore dei testi. È tradotto in moltissime lingue e ha ricevuto premi in tutto il mondo, fra cui il Goldener Apfel/Golden alla Biennale di Illustrazione di Bratislava del 2003. Nel catalogo di Orecchio acerbo anche “La città” (2009), “Gli stranieri” (2012), “Italia A/Z” con Goffredo Fofi (2015), “Il serpente tanto solo” (2016) “Mediterraneo” (2017), “C’erano tutti nella grande aia” su testo di Nino De Vita (2018) e “Diamanti” (2020).
Articolo di Giancarlo Chirico.