Che cos’è un bambino? Ovvero indossare gli occhiali giusti…

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Diciamoci la verità: un albo illustrato il cui titolo già contiene una domanda è di per sé, quasi naturalmente, un’ottima occasione per fare filosofia con i bambini, perché ti viene subito voglia di cercare – non dico la risposta esatta, ma – quello che potrebbe essere il nostro personalissimo contributo alla sua definizione… Forse è un po’ questo il segreto di quello straordinario titolo di Wolf Erlbruch – ovviamente, sto parlando de La grande domanda – dove la domanda tanto promessa nel titolo non compare mai e l’intero albo rappresenta una ricchissima carrellata di possibili (e tutte legittime) risposte.

L’albo di cui scrivo oggi è uno dei miei preferiti, quello da cui prendo le mosse ogni volta che tengo un seminario sulla filosofia con gli albi illustrati: Che cos’è un bambino? di Beatrice Alemagna (Topipittori, 2008).

Per chi si mette a fare filosofia con i bambini, assieme ai bambini, al servizio delle loro grandi domande e pregevoli intuizioni, si tratta di una questione che non può essere trascurata: è ai bambini che ci rivolgiamo, ai loro bisogni che guardiamo, è il loro punto di vista che ci interessa coltivare quando ci poniamo l’ambizioso compito di ‘filoso-fare’ assieme a loro. E, dunque, preliminarmente, che cos’è un bambino?

E qui subito il primo ostacolo, neanche uno dei più banali: come faccio a dirlo io, io che sono un adulto? I bambini lo sanno benissimo cosa sono, lo sanno per esperienza diretta: sono bambini e non hanno bisogno di altre spiegazioni. Ma bambini si nasce, mica si diventa; e, soprattutto, lo si è solo per un po’ di tempo, poi passa… e quando passa, di solito, finisce lì… Per carità, c’è sempre la possibilità di evocare un ricordo, un particolare, un colore, una forte emozione, ma a volte sono solo sprazzi di arcobaleno in un cielo piuttosto ordinario.

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Insomma, è già questo il cuore del dilemma: parliamo di bambini, ma lo facciamo da adulti, cioè senza averne (più) una competenza diretta. I bambini ci appaiono spesso bizzarri, vivono delle loro ingarbugliate ma bellissime originalità, ridono e scherzano secondo un codice indecifrabile, scambiandosi sogni a occhi aperti e slanci appassionati, provando a sottrarsi alle nostre (assurde) aspettative nei loro confronti… Noi spesso li sovrastiamo con le nostre altezze, ma senza raggiungerli veramente, senza entrare in contatto con loro: non siamo neanche disposti ad ammettere la possibilità di poter imparare qualcosa da loro. E continuiamo a domandarci: che cos’è un bambino?

Beatrice Alemagna è il pennello e la penna giusti per farci riflettere in maniera nuova intorno a questa domanda e al nostro bisogno di cercare una risposta: e non è senza importanza se questo albo, nonostante i suoi quasi dodici anni di vita, continui a sollecitarci con un taglio narrativo ancora fresco e originalissimo.

Partiamo dai ritratti: i (tanti) bambini che si susseguono nelle sue pagine non sono bambini comuni, non sono stereotipi, immagini già note di tipologie predefinite; non sembrano bambini veri, lo sono davvero! Balzano fuori dalla pagina e vengono proprio qui, in mezzo a noi. Sono ritratti molto grandi, estremamente ravvicinati: se ci pensate bene, è già un bel punto di vista! A ogni pagina siamo un po’ disorientati, istintivamente cerchiamo la giusta misura rispetto al ritratto, riempiamo di sguardi lo spazio tra noi e lui, tra noi e loro. che-cosc3a8-un-bambino-4È quel che succede a chiunque abbia a che fare con i bambini (una classe, un gruppo di lettura, una comunità di ricerca): passi dal gruppo al singolo, dal coro all’assolo, con uno sguardo forse un po’ strabico, quasi divergente, ma sempre dinamico e puntuale. In verità, è quello che succede in ogni relazione autentica: ci avviciniamo per accostarci all’altro, alle sue ragioni, alla sua particolare prospettiva ma, al contempo, abbiamo bisogno di vedere l’insieme, le connessioni, le relazioni tra il suo punto di vista e il mio. Da qualche parte ho letto che questo albo ci costringe a fare fisicamente l’esercizio ‘dei doppi occhiali’ che i presbiti imparano presto a fare: e a ogni cambio di lente, le informazioni aumentano, i contorni cambiano, le figure si arricchiscono di particolari e l’insieme si dettaglia più in profondità. La trovo proprio una bella immagine.

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Sul testo, invece, dovrei tacere, a meno di non dichiarare subito la mia totale e incondizionata ammirazione per quello che ritengo essere un piccolo saggio filosofico, il testo che qualunque filosofo per bambini vorrebbe aver scritto nella vita! Nessuna facile definizione, nessuna analisi preconfezionata, nessuna sintesi superficiale, lo sguardo costantemente rivolto a cogliere la profondità di ciò che è vero, con semplicità.

Un bambino è una persona piccola. È piccolo solo per un po’, poi diventa grande. Cresce senza neanche farci caso… Un bel giorno cambia”.

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A farla da padrone è sempre un senso di forte disorientamento, proprio come davanti ai ritratti: il fatto è che non riusciamo a capire se l’autrice stia parlando di noi, adulti di oggi, che bambini lo siamo stati ma che di colpo siamo cresciuti, o a noi, bambini di ieri, che cerchiamo oggi il modo migliore per rispondere alla domanda sollevata dall’albo.

Ma esiste veramente questo solco a separare ieri e oggi, adulto e bambino? Il fatto è che ci deve essere qualcosa di più forte del disincanto che ci ha disilluso quando, la prima volta, abbiamo visto i fili attaccati alla marionetta, qualcosa che ci permette ancora oggi, da adulti consapevoli, di ridere a crepapelle davanti a uno spettacolo di marionette, nonostante i fili che sappiamo esserci! Non si tratta di “ritornare” al passato (questo lo lasciamo fare ai nostalgici o alle persone che vivono nei ricordi che non hanno saputo costruire), ma di recuperare oggi la radice profonda del nostro immaginale.

Come faccio a rispondere alla domanda? – ci chiedevamo poco fa. Semplice: io la risposta la conosco, sono stato bambino e da qualche parte il mio immaginale continua a saperlo! La meraviglia, la curiosità, lo stupore e l’incanto continuano ad appartenermi ancora oggi, spetta a me lasciarli parlare: “I bambini che decidono di non crescere, non cresceranno mai. Avranno un mistero dentro di sé. Allora anche da grandi si commuoveranno per le piccole cose: un raggio di sole o un fiocco di neve”.

Si tratta di una voce che vuol essere ascoltata “con gli occhi spalancati”, proprio come un bambino! E che, proprio come i bambini, “per addormentarsi, ha bisogno degli occhi gentili. E di una lucina vicina al letto”.

Strani questi occhiali “doppi”: oltre ad adattare la distanza, ingentiliscono lo sguardo. Anche quello verso sé stessi.

Beatrice Alemagna, Che cos’è un bambino?, Topipittori, 2008

Articolo a cura di Giancarlo Chirico