Il fiore del signor Moggi di Bernard Friot e Nicoletta Bertelle

“Nulla vieta di credere che i discorsi che ora facciamo siano tenuti in sogno; e quando in sogno crediamo di raccontare un sogno, la somiglianza delle sensazioni nel sonno e nella veglia è addirittura meravigliosa” (Platone, Teeteto, 158 c)

 

Di che sostanza sono fatti i sogni?

È possibile disegnarne uno, appropriarsi della sua effimera bellezza, dargli corpo e colore, in modo che anche gli altri lo vedano e possano condividere con noi lo stupore e l’emozione che c’ha dato?

A ben vedere, per il signor Moggi – che si è appena svegliato da un bellissimo sogno – la questione non ha molto peso: lui sente, fortissimo, il bisogno di disegnare lo straordinario fiore che ha sognato; e subito si mette a cercare la forma ideale, la combinazione cromatica più idonea a restituirgli sul foglio la stessa intensità del sogno. Ma perché lo fa?

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Quante volte ci siamo svegliati, dopo un bellissimo sogno, con una sensazione vertiginosa e stupenda, cui abbiamo provato a dare forma attraverso le nostre parole, senza riuscirci? E a quel punto, davanti all’espressione un po’ perplessa e distaccata del nostro interlocutore, abbiamo dovuto amaramente concludere che no, quello non era la realtà, era soltanto un sogno: rassegnati, ci siamo lasciati trascinare dalla quotidianità della nostra routine. Beh, il signor Moggi – al contrario di noi – non si lascia affatto afferrare da questo grigio sconforto e, anzi, si mette subito a dipingere: per lui il fiore non è tanto il riflesso di un sogno destinato a svanire con le prime luci del giorno, ma una presenza reale, per quanto lontana. Ed è convinto che per coprire quella distanza, per evocare quella presenza, ci sia solo bisogno di cura, ricerca, impegno.

il-fiore-del-signor-moggi-03Davanti al bellissimo fiore che compare nella primissima doppia pagina dell’albo mi sono chiesto quanto sia stato arduo il compito di Nicoletta Bertelle, l’illustratrice del magnifico testo di Bernard Friot: mi sono immaginato i fogli che ha riempito con i suoi colori, le numerose prove e gli svariati tentativi di dar corpo all’inafferrabile; ho provato a sentire il pennello che fremeva sotto la mano, facendosi più leggiadro possibile, mentre nel cuore richiamava la voce del maestro di una vita, quello Štěpán Zavřel, che con il colore ha incantato gli sguardi di mezza Europa. Com’è stato possibile venire a capo di una prova artistica tanto notevole?

Con queste domande che mi ronzavano per la testa, mi sono messo sulle tracce del signor Moggi: ho visto il colore del suo dipinto ingrigirsi sotto i miei occhi e mi sono ricordato delle tante volte in cui mi sono mancate le parole per raccontare i miei sogni. Mi sono riconosciuto nel suo sconforto, per la goffaggine di quei tentativi volti a prestare ascolto ai suggerimenti di amici e parenti o all’esempio degli artisti più bravi. E mi sono incamminato assieme a lui – ancora in pigiama e con un occhio mezzo aperto sui sogni – per i sentieri di uno sconfinato giardino; e, affranto e sconsolato, mi sono lasciato sprofondare anch’io su quella panchina.

E lì abbiamo scoperto di non essere soli – il signor Moggi e io – perché seduta accanto a noi c’era una bambina (ma da dove sarà sbucata fuori?), che dice di essere in grado di disegnare il fiore, che lo conosce, che si tratta di un fiore del suo lontano paese. E mentre li ho visti volar via – il signor Moggi e la bambina – a cavallo di una farfalla di un viola sfavillante, ho realizzato di sognare il loro stesso sogno e di precipitare al centro di una nuova consapevolezza.

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Fino a oggi ero convinto che nessuno potesse mai entrare nei sogni di un altro: e come potrebbe mai fare? Ogni volta che ho provato a descrivere la potente verticalità di un’esperienza onirica, le parole sembravano sfilacciarsi e le descrizioni suonavano finte ed edulcorate, sicuramente non all’altezza di quella leggiadra potenza che mi trascinava via.

E, invece, è possibile: forse non ci riusciamo noi adulti, no, ma ci riescono i bambini! Loro sanno di che sostanza sono fatti i sogni! E, infatti, la bambina – lei sola – riesce finalmente a dare corpo al fiore del signor Moggi, quello stesso fiore che noi possiamo ammirare grazie al tratto, leggiadro e profondo, della Bertelle. Ed è un fiore dalle caratteristiche straordinarie, dal momento che tutti gli altri interlocutori, ammirandolo, ci vedono il fiore che avevano immaginato, per quanto fosse profondamente diverso da ogni altro.

Solo quello della bambina è identico a quello del sogno – anzi no, è proprio lo stesso fiore – perché lo sguardo di un bambino è capace di ogni prodigio, purché sia lasciato libero di spaziare, oltre ogni muro e confine. E qui il pensiero torna ancora a lui, a Zavrel (cui l’albo, non a caso, è dedicato) e alla sua incondizionata fiducia nei bambini e nella loro capacità di vedere autenticamente: e mi sembra un bel modo – questo – per ricordarlo, con le intense illustrazioni di una delle sue allieve, che ammantano di magia la sognante poesia-in-prosa di un altro indiscusso maestro, qual è Bernard Friot.

Giancarlo Chirico

 

Bernard Friot, Nicoletta Bertelle, Il fiore del signor Moggi, Fatatrac, Casalecchio di Reno (BO) 2019