I Musicanti di Brema. Che ci fa un totem al centro del villaggio?

Jacob L. Grimm, Wilhelm K. Grimm, Claudia Palmarucci, I Musicanti di Brema, Orecchio acerbo, Roma 2015

di Giancarlo Chirico

Lo ammetto: I musicanti di Brema – assieme a Il gatto con gli stivali – è una delle mie fiabe preferite; probabilmente, l’albo di Orecchio acerbo e le illustrazioni di Claudia Palmarucci, hanno avuto un ruolo determinante per questo mio innamoramento. Ogni volta che mi capita di scorrerne le pagine, sento il profumo umido della terra autunnale, il fitto sottobosco che copre le tracce, la notte senza stelle che avvolge le ombre e mi pare di vedere il caldo luccicore di un camino, là in lontananza. E sento il passo pesante della compagnia, affranta dalla fatica di anni logori e sfatti, che danno ritmo a una marcia stramba, ma fervida di speranza: perché i musicanti ripartono, ogni volta, tutti insieme e canticchiano allegri, nonostante tutto. Brema non può essere lontana.

Non sono propriamente quel che si dice un esteta, ma ritengo che il tratto di Claudia sia fatto apposta per illustrare questa fiaba: sa di terra, di fatica, di palpitazioni troppo a lungo contenute nel cuore piegato dagli affanni, ma sempre pronte a esplodere in un grido, forse stridulo, ma possente e liberatorio. img-20180407-wa0032La scelta di Claudia di umanizzare gli animali è a dir poco sorprendente, richiama alla mente chissà quale letteratura, quali mitologie; senza parlare, poi, della scelta di dare ai briganti le sembianze di una iena, animale ghignante, sempre compiaciuto delle proprie ruberie: semplicemente geniale!

Dalla dialettica tra testo (quello notissimo dei fratelli Grimm) e illustrazioni si aprono distorsioni semantiche che disorientano i bambini e li chiamano subito in causa: lì per lì ti sembrano fattezze innaturali, eppure ti ci rispecchi! Perché i “musicanti” hanno la forma umana, se restano pur sempre animali? perché la storia dice una cosa e l’illustrazione ne racconta un’altra? chi agisce veramente, l’uomo o l’animale?

Perché non potrebbero essere entrambi?”, chiedo io. “Perché non ha senso!”, mi ha risposto una volta un bambino.

E allora troviamolo insieme, questo senso.

Per elaborare in chiave ludica la suggestione filosofica di questa prodigiosa fiaba, ho deciso di ricorrere al concetto di totem: a un certo punto della fiaba, infatti, i musicanti si riuniscono sotto la finestra della casa dei briganti e decidono di intervenire tutti insieme, componendo un vero e proprio totem, mettendosi l’uno sopra l’altro. Ai bambini faccio notare come l’illustrazione di copertina – avendo dato agli animali fattezze umane – è in grado di rafforzare enormemente questo concetto: ciascun musicante, infatti, poggia le proprie mani sulle spalle dell’altro, come segno di fiducia e affidamento. In questa composizione – dallo forza verticale e vertiginosa – mi sembra non nasconda neanche un po’ l’allusione alla simbologia cui ho deciso di far riferimento.

In uno dei tanti incontri che ho avuto con i bambini delle Biblioteche di Roma, S., una bambina di 8 anni di origini nigeriane, ci ha raccontato che nel villaggio della bisnonna – che lei ha visitato proprio la scorsa estate – c’era un totem, posizionato proprio al centro del villaggio: aveva notato che lo si poteva vedere da ogni punto del villaggio, in modo che fosse chiaro a chiunque che si trattava del punto più importante, la piazza dove ci si riunisce, dove la pluralità delle differenze si compone nell’unione comunitaria.

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Solitamente, all’interno del totem sono raccolti animali estremamente diversi tra loro, per caratteristiche, per condizioni di vita, anche per alimentazione: per offrire ai bambini una chiave di letture – tra le molte altre possibili – suggerisco loro di ritrovare in ogni composizione i quattro elementi naturali (terra, aria, acqua, fuoco). La nostra sfida, dunque, diventa quella di associare i quattro musicanti a ciascun elemento naturale, per comprenderne appieno il significato e la forza simbolica. Di per sé, l’associazione non è affatto pacifica: in alcuni casi, i gruppi hanno raggiunto l’unanimità, in altri no. Fare ritorno alla fiaba, in alcuni casi, permette di risolvere alcune situazioni dubbie e di fissare dei particolari risolutivi che, altrimenti, sarebbero passati in secondo piano. In ogni caso, la cosa più interessante è il dialogo che si svolge tra i bambini, nel quale ciascuno porta le motivazioni che gli sembrano più valide per giustificare la propria scelta (nella consapevolezza – come mi è stato detto una volta – che se dici soltanto “a me piace così” non sei affatto divertente…).

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Con una certa facilità i bambini associano il gallo all’aria (anche se, dicono in molti, questo è l’unico gallo che vola veramente in alto: “di solito saltellano, mica volano”). Anche il gatto viene associato con una certa facilità al fuoco: “perché dorme vicino al camino”, ricorda un bambino; “perché ha gli occhi come i tizzoni”, mi suggerisce un altro. Ci posso stare. E il cane? “Il cane alla terra – sostiene un bambino – perché è fedele, è legato alla terra”; mentre qualcun altro lo vorrebbe associare al fuoco “perché morde con rabbia e abbaia e ringhia”; “mi fa venire in mente il colore rosso”, dice un altro.

E l’asino? La maggior parte dei bambini lo associa alla terra (e, d’altronde, diversi elementi della fiaba lo suggeriscono), ma mai sfidare i bambini in arguzia! In un incontro una bambina mi ha detto: “L’asino è l’acqua perché li accoglie tutti!”. Fare filosofia significa aprirsi a nuove possibilità: ecco perché preferisco dare grande attenzione alle “voci fuori dal coro”, a quei bambini che, solitamente, vengono richiamati perché dicono “stupidaggini”, baggianate, argomenti poco condivisibili; e, invece, spesso offrono al dialogo nuovi spunti di riflessione…

Una volta che abbiamo imparato a riconoscere i quattro elementi e ad associarvi un musicante, giunge il momento di costruire il proprio personalissimo totem. Per ciascun elemento propongo ai bambini di scegliere un animale, selezionandolo tra una decina di proposte. Dopo averli colorati, gli animali vanno incollati su un supporto, che nel mio caso è rappresentato dal tubo di cartone dei rotoloni. Il risultato finale è sorprendente!

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Per i bambini il momento della scelta rappresenta una faccenda nient’affatto banale: sono ormai perfettamente consapevoli che il totem dimorerà al centro del villaggio, per cui ci pensano a lungo prima di scegliere, osservando bene le figure proposte e prendendosi tutto il tempo necessario, a volte ritornando sui propri passi e chiedendo di cambiare animale. Associando ogni animale a un elemento e scegliendo per ogni elemento un proprio animale, i bambini raccontano moltissime cose di sé: ricordi, aneddoti buffi, litigate furiose. Esercitiamo l’ascolto attento e il rispetto dei tempi altrui e impariamo che ridere di una persona ti leva tante opportunità.

Ogni volta i bambini si sforzano di isolare nell’animale scelto delle caratteristiche specifiche che vorrebbero per sé o che, per qualche motivo, già si attribuiscono e si riconoscono. A mano a mano che le scelte si fanno più chiare e vengono condivise con il gruppo, nelle nostre mani il totem diventa uno strumento potentissimo, un simbolo capace di parlare al posto nostro e di testimoniare al resto della comunità chi siamo veramente: o, più semplicemente, di permetterci di giocare a esserlo. Costruire un totem come manufatto complesso, fatto di animali diversi, con caratteristiche anche sorprendentemente lontane (nello stesso totem abitano insieme il coniglio e la tigre, la pigrizia della balena o lo scatto dell’antilope, senza alcuna contraddizione per il bambino che li sceglie), richiede a tutti un forte investimento emotivo, rispetto al quale i bambini non si sottraggono mai.

Alla fine, il senso più autentico di questa straordinaria fiaba l’abbiamo trovato proprio nel totem, che tiene insieme – in una geometria vertiginosa e complessa – la complessità che ciascuno di noi è e di cui diventiamo, in questo modo, profondamente consapevoli.