“Pieno Vuoto” Incontro con l’altro
Solo una rassegna letteraria?
Anche questa terza edizione della Rassegna delle letterature inclusive è giunta alla sua conclusione e forse è tempo di bilanci… e di ringraziamenti!
Siamo particolarmente affezionati al nostro nome, “rassegna”, perché fin dall’inizio abbiamo immaginato io e le #sognalibraie – questo spazio – prima fisico, poi virtuale, ora misto, una sorta di contenitore, dove “passare in rassegna”, appunto, le varie strategie per fare inclusione, a partire da quello che conosciamo meglio, ovvero l’albo illustrato e la letteratura per l’infanzia.
Siamo sempre stati convinti – e ce lo hanno confermato in questi anni i vari formatori che ci hanno accompagnato lungo questo percorso – che per fare davvero inclusione non esista LA ricetta vincente, ma sia necessario acquisire uno sguardo un po’ strabico, capace di guardare a questo e a quello, di tenere insieme aspetti diversi della realtà e saper accoglierli. Una delle chiavi che rende possibile la relazionalità è proprio la pluralità: se non ci fossero più cose, più persone, più esigenze diverse non ci sarebbe neanche bisogno di tenerle insieme!
L’altro aspetto che abbiamo cercato di raccontare è quello dell’esperienze: l’anno scorso, quando l’edizione si è svolta soltanto online, abbiamo dedicato un intero filone della nostra rassegna alle esperienze, chiedendo alle associazioni che FANNO inclusione di raccontarcela, anche solo per ispirarci o per prendere spunto, per riconoscere che alla fine non si tratta soltanto di un modello teorico. Quest’anno, con il rientro dello stato d’emergenza e la possibilità di riprendere le attività in presenza, abbiamo voluto riportare la formula dei nostri laboratori esperienziali, nella convinzione che l’inclusione riguardi soprattutto la capacità di ciascuno di noi di leggere la realtà in modo rispettoso, accogliente e più consapevole. E questo modo non è “dato” ma va cercato, sperimentato, provato, anche attraverso l’esperienza dell’errore!
Questo vuol dire anche un’altra cosa e, cioè che l’inclusione non si può dire acquisita una volta per tutte: nessuno di noi può sostenere di essere pienamente inclusivo! Dal momento che la realtà intorno a noi cambia continuamente, il nostro sguardo e la nostra capacità di leggerla devono essere in costante allenamento, attraverso la formazione, la pratica e le competenze. Insomma, guai a essere pigri!
È con questo spirito che ci metteremo subito al lavoro per la prossima edizione, per offrire al pubblico della libreria e alle persone che ci seguono online nuovi contenuti, voci e interpretazioni che ci aiutino a leggere la realtà e a tenerci davvero tutti insieme.

Ma, in tutto questo, cosa c’entra l’albo illustrato con l’inclusione? e perché voler parlare di inclusione all’interno di una libreria specializzata nella letteratura per l’infanzia? Beh, le ragioni sono davvero più numerose di quel che si possa pensare…
Innanzitutto, perché l’albo illustrato ha una dimensione naturalmente relazionale! Coloro che ci hanno a che fare sanno che l’albo illustrato è una finestra spalancata sul mondo, una porta che ci permette di entrare in relazione con altre persone, ritrovandoci insieme nell’identità dell’esperienza, pur nella ricca diversità di ciascuno. E non ci riferiamo, per quanto ovvio, alla relazione genitore-figli o insegnante-alunno (eh, già perché gli albi illustrati a scuola ci stanno benissimo!) ma, soprattutto, alla relazione bambino-bambino: per sua stessa natura, l’albo illustrato sembra suggerirci una lettura relazionale, dinamica e interpretativa, dove le competenze di un lettore vanno a vantaggio dell’altro (e viceversa) e dove il significato si forma dalla loro sinergia.

Ci sono albi illustrati che per il modo stesso in cui sono concepiti, scritti e illustrati rendono possibile questo tipo di lettura relazionale: pensiamo ai cd. silent book, gli albi senza parole, nei quali la storia si forma per definizione dalla (pluralità) delle letture delle (sole) illustrazioni, con le interpretazioni che si fanno strada con il farsi della storia sotto i nostri occhi. Da questo punto di vista, com’è stato detto da Patrizia Zerbi, durante l’incontro che abbiamo avuto con Carthusia nell’ambito di questa terza edizione, i silent a dispetto del loro nome – si presentano forse come i libri più chiassosi di tutti, proprio perché popolati dalla pluralità di voci dei loro infiniti lettori.
Ma c’è un altro aspetto – non certamente l’ultimo – che merita di essere citato a proposito di “albi illustrati e inclusione”: non ci riferiamo tanto alla possibilità che gli albi illustrati introducano temi che abbiano a che fare con l’inclusione, l’empatia, la responsabilità e l’accoglienza, quanto piuttosto alla possibilità che l’albo illustrato sia luogo di esperienze condivise e, dunque, suggerisca ai suoi giovani lettori chiavi di lettura plurime, diversificate, polifoniche. Non è tanto la storia letta o illustrata, quanto quella esperita attraverso la lettura che permette ai bambini di confrontarsi in maniera creativa e originale con il tema del libro, provando a definire la propria opinione senza lasciarsi guidare o, peggio, condizionare, dalla lettura dell’adulto.
È proprio questo senso di spazio autonomo, accogliente e sempre aperto che rende l’albo illustrato un’occasione davvero speciale per sperimentare l’inclusione in concreto, permettendo a ciascuno di trovare il proprio colore e tenendoli davvero tutti insieme.
Per chi volesse approfondire la tematica, consigliamo la lettura di: “Albi illustrati e didattica inclusiva”, un articolo della dott.ssa Marina Pavesi, Pedagogista e psicomotricista; o “Lettura e inclusione”, un articolo della nostra amica Mariapia Basile che da circa un anno cura il blog Firmino. Libri come nutrimento, dedicato alla letteratura per l’infanzia anche in chiave inclusiva. E se vi siete persi l’appuntamento con Carthusia, potete recuperarlo sulla pagina fbk della libreria Sognalibri!

Da quello che abbiamo raccontato negli articoli precedenti, l’inclusione appare come una sorta di concetto ombrello, comprensivo di più significati, sotto il quale possiamo raccogliere tutte quelle politiche – a livello sociale e collettivo, ma anche a livello di azioni personali – che permettono di valorizzare l’altro e di rimuovere gli ostacoli che gli impediscono di leggere la relazione, viverla attivamente e farla crescere.
Se ci pensiamo bene, la scuola è il primo contesto in cui l’inclusione merita di operare in assoluta pienezza: intanto, perché ci si ritrova davvero tutti insieme, senza possibilità di scegliere o di fare selezione, poi perché ad essere in gioco è il percorso educativo dei nostri figli, ovvero la loro crescita individuale e la realizzazione di una possibile nuova idea di società. Dal momento che, nella dinamica scolastica, i nostri figli impareranno a leggere i contesti relazionali, a intervenire per modificarli e ad agire per esprimere se stessi diventa fondamentale che possano fare esperienza di una scuola davvero per tutti: partecipativa, collaborativa, ospitale.
Come recitano le Policy Guidelines on Inclusion in Education dell’Unesco (2009), “la scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle capacità del sistema d’istruzione di raggiungere tutti gli studenti. Un sistema scolastico “inclusivo” può essere creato solamente se le scuole comuni diventano più inclusive. In altre parole se diventano migliori nell’educazione di tutti i bambini della loro comunità”.

È evidente che tutto questo richieda dei notevoli cambiamenti sul contesto scolastico: a partire dalla cultura organizzativa, per improntarla all’accoglienza e orientarla verso la comunità, nella cura delle relazioni, per attivare un sistema progettuale partecipato, democratico e trasparente e, infine, nell’azione educativa, con il coinvolgimento attivo di tutti gli operatori. Un’azione davvero inclusiva non è improntata all’emergenza e al bisogno occasionale, come se si trattasse di “normalizzare” una situazione di bisogno – che troppo semplicisticamente viene fatta coincidere con il singolo bambino – per integrarla nel contesto relazionale in cui deve poter esprimersi; piuttosto, l’azione inclusiva risponde a una logica aprioristica e strutturale, che prescinde dall’emergenza e che si fa autentico cambiamento culturale.
Quello che hanno in comune le più virtuose esperienze scolastiche ed educative inclusive degli ultimi anni (pensiamo all’esempio di Maria Montessori, o di Raffaele Malaguzzi, fino ai modelli di Marco Orsi o di Giuseppina Pizzigoni), è proprio l’attenzione rivolta alle condizioni educative in senso ampio (gli spazi, gli strumenti e le relazioni) che permettano l’apprendimento differenziato, ovvero rispettoso delle potenzialità di ciascuno. Se ci pensiamo bene, è la mediazione la chiave per costruire una cultura scolastica davvero inclusiva, per sollecitare la comunicazione autentica, la condivisione, la cooperazione e la collaborazione.
Per chi volesse approfondire, consigliamo la consultazione di questa bella presentazione curata da Mondadori Education su “Bisogni educativi speciali e scuola inclusiva”; oppure la lettura di questo articolo su “Formazione e inclusione: il dibattito sull’evoluzione del docente specializzato”, di Patrizia Gaspari dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, con una ricca bibliografia finale.